Searching for Sugar Man: la recensione del documentario diretto dal regista Malik Bendjelloul incentrato sulla figura del cantautore statunitense Sixto Rodriguez. Il film, in uscita nelle nostre sale cinematografiche il 27 giugno 2013, ha vinto il Premio Oscar 2013 come miglior documentario.
Negli ‘early Seventies’ Sixto Rodriguez è un giovane uomo della working class che oltre ad avere un umile lavoro in una delle tante fabbriche della Motor City si esibisce nei locali più anonimi e fumosi della città. Un giorno Dennis Coffey e Mike Theodore vanno a sentirlo ed estasiati dalla sua voce e dal suo modo di scrivere decidono di produrgli un album. Esce nel 1970 Cold Fact, decisamente un buon album d’esordio. Nel ’71 è la volta di Coming from Reality, leggermente diverso dal suo primo lavoro ma che mantiene intatte le caratteristiche dello stile di Rodriguez, un folk sociale e politico che racconta storie di vita viste con gli occhi di uno “Street Boy”. Sulla carta c’è tutto il necessario per raggiungere un discreto successo eppure le vendite non arrivano. Senza un motivo apparente negli States non se lo fila nessuno; ma proprio nessuno! Sixto Rodriguez torna così nella fumosa nuvola di anonimato dalla quale era uscito.
Meanwhile, dall’altra parte dell’oceano…non si sa come né quando una copia di Cold Fact arriva in Sudafrica. Il Paese in quegli anni non è solo in pieno apartheid ma il governo è così autoritario e conservatore che anche i bianchi non se la passano poi così bene. La censura è forte e riguarda ogni forma di espressione, la tv è vietata perché considerata comunista e le tracce dei vinili non ritenute idonee vengono rigate una per una con oggetti appuntiti per evitare che siano ascoltate.
È in questo clima che l’album si diffonde in maniera che oggi definiremmo virale e, tra qualche copia originale e molti bootleg, Rodriguez diventa nel paese più famoso dei Beatles o di Elvis. Le sue canzoni che parlano di sesso, droga e cruda realtà e che inneggiano all’anti-establishment, seppur con la quiete del folk, diventano l’inno della rivoluzione politico-culturale del Sudafrica di quegli anni, giocando lo stesso ruolo giocato negli Stati Uniti dalla musica di Bob Dylan e Joan Baez. Eppure di Rodriguez non si sa nulla, non arriva nemmeno una notizia e le leggende sul suo suicidio iniziano a proliferare fino a che, negli anni 90, due improvvisati investigatori musicali scoprono che il loro mito non è poi così morto ma che anzi ha una famiglia e continua la sua umile vita di ‘working class hero’, senza avere la minima idea dell’importanza che la sua musica ha avuto per molte generazioni di un paese così lontano. I due riescono quindi a portarlo in Sudafrica per una breve tournée e finalmente Rodriguez vive quel riconoscimento e quel successo che, chissà per quale motivo, gli era stato negato anni prima.
Searching for Sugar Man è sicuramente ul documentario registicamente completo. La narrazione ha uno sviluppo quasi da poema letterario che passa attraverso il racconto di un avvenimento mitico, la creazione di un mistero e infine la sua risoluzione e la riscoperta di un eroe senza macchia. Tutto ciò amalgamato da un’esperienza corale talmente forte da interessare a livello culturale un paese intero. Ne esce il ritratto di un uomo puro e pratico che non ha risentito del crollo dei suoi sogni giovanili ed è andato avanti con lo stesso impegno e la stessa umiltà che aveva messo nella sua musica perché, in fondo, sognare è quello che ci mantiene vivi ma “nothing beats reality”, come dice lo stesso Rodriguez. Tutta la sua storia di uomo è racchiusa in quel paio di lunghi camera car in cui cammina arrancando con equilibrio precario sulle strade innevate di Detroit. È come se la sua figura quasi mistica percorresse l’incerta strada della realtà.
Il successo di questo documentario, culminato con la vittoria dell’Oscar nel 2013 (ma del resto l’Academy tende a premiare documentari di intrattenimento rispetto a quelli d’inchiesta), è dunque meritato, come lo è quello di Rodriguez e lo era in parte (con una storia così è facile stupire) quello del regista Malik Bendjelloul che però non è riuscito a sostenerlo e si è suicidato a maggio 2014.