Domenica 29 ottobre mi sono svegliato prima del solito. Avevo un treno da prendere qualche ora dopo e solitamente sono piuttosto mattiniero. Ma il mio risveglio di domenica 29 ottobre l’ho percepito anomalo sin dal momento in cui ho aperto gli occhi e ho notato che dalle fessure delle persiane ancora non filtravano le prime luci dell’alba. Mi sono diretto in cucina per bere un bicchiere d’acqua e ho sbloccato lo smartphone, una di quelle azioni meccaniche che ormai caratterizzano i risvegli nel 2023, a volte prima ancora di accendere la luce o capire in che giorno della settimana ci troviamo. La prima foto che mi appare su Instagram è quella sorridente di Matthew Perry, su per giù all’epoca di Friends. È uno di quei sorrisi che hanno reso celebre l’attore tanto quanto il suo personaggio, ben diverso dalla risata sguaiata che Chandler è costretto a sfoggiare nel corso della serie per compiacere il proprio capo. È un sorriso smozzicato, un biglietto da visita di Chandler Bing. In quel momento non mi ha sorpreso vedere la sua foto, in fondo Friends è la mia sitcom preferita, attualmente in casa è in corso l’ennesimo rewatch durante pranzi e cene, il perfetto riempitivo di qualità, come quando stai lavorando e vuoi ascoltare una canzone dei Dire Straits che sai a memoria ma che non ti stanca mai. Sui social seguo diverse pagine che parlano dello show e per lavoro anche molte pagine di case di produzione hollywoodiane. Tuttavia, domenica 29 ottobre, facendo scrolling ho notato che il feed di Instagram era insolitamente ricco di immagini di Perry.
All’improvviso ho avuto una sensazione strana, e prima ancora di leggere finalmente una didascalia a caso sotto una delle tante foto dell’attore ho capito: quella notizia su Matthew Perry è arrivata. L’estate appena trascorsa l’ho passata in sua compagnia, tra le pagine del memoir Friends, amanti e la Cosa Terribile (Friends, Lovers and the Big Terrible Things) ed ero fresco di informazioni sulla travagliata vita di Matthew Perry, che dopo anni di speculazioni, fake news e teorie fantasiose aveva deciso di raccontarsi e ripercorrere la sua vita. Il libro mi piacque molto, scritto con un taglio perfettamente coerente con quella che è stata l’immagine pubblica di Perry e in fondo anche con il suo personaggio. E la notizia della sua scomparsa purtroppo non mi ha sorpreso.
Ho conosciuto Chandler Bing nei primissimi anni 2000. Quando la sitcom sbarcò in Italia era ormai il 1997 e io avevo soltanto 10 anni, quindi il mio interesse e la mia curiosità intorno alla serie nacque proprio pochi anni prima della sua effettiva conclusione. Ad una primissima visione di Friends si comprende immediatamente perché Chandler sia il personaggio più amato dal pubblico, quantomeno nelle dichiarazioni. Ross e Rachel troppo impegnati nel loro tira e molla, Joey all’apparenza una mina vagante piaciona e ingenua, Phoebe interessante e bizzarra ma forse pure troppo bizzarra e Monica, con le sue attenzioni maniacali sulla pulizia e la competitività eccessiva… Chandler è il personaggio che strappa quella risata in più, quello che spicca per tempismo e originalità, tant’è che in una realtà alternativa nel corso della serie tenta di sfondare come umorista. Com’è normale che sia, quando guardiamo una serie tv ci affezioniamo a personaggi che hanno caratteristiche molto simili alle nostre perché ci sentiamo compresi e inclusi in un contenitore ben più appagante della vita reale. Oppure, al contrario, ci affezioniamo a personaggi totalmente distanti da noi magari perché vorremmo essere come loro o perché ci affascinano proprio le differenze caratteriali con il personaggio in questione. Nel mio caso, con Chandler Bing, è vera la prima opzione.
Matthew Perry aveva un talento brillante che gli è stato sempre riconosciuto ma evidente in quantità maggiore nei suoi personaggi rispetto alla filmografia, che non ha mai reso giustizia completa alle sue qualità. Matthew Perry non è stato soltanto Chandler Bing ma Chandler Bing è stato l’universo nel quale Matthew Perry ha potuto essere se stesso in armonia con il mondo. Nel suo libro, ad un certo punto Perry pubblica una foto insieme al cast di Friends con la didascalia “Il lavoro più bello del mondo”. In questa frase, all’apparenza banale, Matthew Perry riesce a sintetizzare meravigliosamente ciò che Chandler Bing ha rappresentato nella sua vita. Le ore sul set erano le più belle del mondo perché poteva finalmente vivere un contesto in cui si sentiva amato e in cui nessuno l’avrebbe mai fatto sentire un minore non accompagnato, come accadde a 5 anni, quando dal Canada viaggiò in California per incontrare per la prima volta suo padre. Da solo. L’affetto degli amici nella serie era l’affetto degli amici del cast. Nell’appartamento 19 condiviso con Joey al Greenwich Village, Matthew Perry poteva esprimersi serenamente come da ragazzino, quando si divertiva sui campi da tennis. E poteva condividere nella finzione del personaggio le zone d’ombra che nella vita reale erano più difficili da gestire, perché Friends, per quanto stupendo era pur sempre lavoro, per l’appunto. Chandler Bing era costruito per essere interpretato da Matthew Perry (con buona pace di Craig Bierko, inizialmente favorito per la parte) e anche se il personaggio è maturato prima dell’attore, come ha confessato lui stesso, in qualche modo ha contribuito indirettamente alla sua crescita. Il successo di Friends e di Chandler ha permesso a Matthew Perry di avere una cassa di risonanza privilegiata nella condivisione delle proprie esperienze e nella possibilità di aiutare altre persone.
In un mondo che tende sempre verso il centro del palcoscenico, Chandler Bing piace a tutti perché con il suo sarcasmo riesce a collocarsi in una posizione più esterna al resto del gruppo, sbeffeggiando regolarmente il prossimo per poi allontanarsi sigaretta in bocca e sorriso beffardo.
Ma Chandler Bing il re delle battute è anche Chanandler Bong e a lui è più difficile dimostrargli affetto, ci vuole maggior impegno. Chanandler Bong è l’amico insicuro che non riesce a relazionarsi con le donne, che non riesce a trovare un equilibrio, che si sente costantemente inadeguato e fuori contesto, talvolta scordato dal mondo e dagli stessi amici che si dimenticano il compleanno o la sua assenza durante una chiacchierata. L’amico che all’epoca si definiva con estrema facilità derisoria un po’ sfigato o nel migliore dei casi strano e ne ha vissuto le conseguenze per anni, riversando comunque nei rapporti umani il tentativo di scacciare il malessere della solitudine, del non sentirsi abbastanza o soltanto un minore non accompagnato, com’è stato per Matthew Perry, che nel suo libro ci trasmette l’ennesima richiesta di un confortevole abbraccio.
Ecco perché voglio bene a Chanandler Bong e perché ringrazio Matthew Perry. Per tutte le risate, per tutta la geniale ironia e per aver condiviso la propria solitudine. Ci vediamo al solito posto.