Mia Madre: la recensione del film diretto e interpretato da Nanni Moretti che arriverà il 16 aprile 2015 nei nostri cinema. Nel cast Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Beatrice Mancini, Enrico Ianniello, Pietro Ragusa, Tony Laudadio, Stefano Abbati, Anna Bellato, Lorenzo Gioielli, Tatiana Lepore, Domenico Diele e Renato Scarpa.
Moretti ci fa commuovere, lo fa in modo sottile e intelligente, affrontando una tematica delicata come la perdita della madre e con un’attrice che abbiamo imparato a capire, Margherita Buy. Mia madre segna il ritorno del regista romano sulle note di Baby’s Coming Back to me, una melodia triste che mette serenità e ci spinge a danzare in questo ballo che è la vita. Questa volta però Nanni si fa da parte e lascia la scena a una donna insicura e complessa, una regista che sa il fatto suo ma che riconosce bene i suoi difetti: Margherita. I ruoli risultano chiari già dalla prima scena: un fratello (Giovanni) che in modo cauto e razionale si prende cura della madre e una sorella che si destreggia tra tante cose e non accetta quello che sta succedendo. La madre Ada, una bravissima Giulia Lazzarini, diventa subito una persona di famiglia, con i suoi modi pacati, la sua ironia che prevalgono sulla stanchezza della malattia. “In questo posto sono tutti seri, tutti ti dicono cosa fare, ci vorrebbe un po’ di ingenuità“, questa la riflessione che fa Ada dal letto di ospedale, con il pensiero sempre rivolto ai figli e al latino che ha segnato la sua vita di insegnante. Margherita si divide tra due realtà opposte che non riesce a dividere: da un lato la madre malata con cui parla del lavoro e dall’altra la macchina da presa e il nuovo film, esperienza che viene però influenzata dalle vicende personali.
Se in un primo momento si sorride grazie a quelle battute prettamente morettiane di Margherita, con la comparsa di John Turturro la comicità prenderà piede in modo più “rumoroso“. Barry (Turturro) è un attore americano scritturato per il film di Margherita, un personaggio sopra le righe che parlo un italiano stentato, pieno di storie inventate e progetti irrealizzabili. Turturro conquista di sicuro il pubblico, un po’ meno la regista che si trova spiazzata dall’apparente impreparazione di questo personaggio. Per Moretti Mia madre è un’occasione per parlare non solo di sé ma anche del cinema, dell’altezzosità di alcuni attori che vogliono del vero champagne sul set o delle assurde richieste dei registi. Non lo fa in modo saccente o critico, lo fa nel modo più semplice e diretto che esiste, attraverso una comicità coinvolgente.
L’elemento comico si bilancia perfettamente con il nucleo drammatico del film e rende il film piacevole e divertente, a tratti “poco morettiano”. Moretti d’altro canto sembra aver centellinato la sua presenza nel film: appare in poche e incisive scene che non stancano i più ostili e saziano invece gli spettatori che lo amano. La sua presenza appare velata oltre che nella protagonista anche nella presenza dei sogni che Margherita fa: premonitori, ricordi di un passato o catarsi disastrose. “Margherita fa qualcosa! Rompi almeno uno dei duecento schemi” dice Nanni discostandosi da una fila lunghissima davanti al cinema Capranichetta. É proprio quello il problema di Margherita: svolge il suo lavoro più per senso del dovere che per piacere, ormai l’amore per il cinema ha lasciato spazio a tanti inconvenienti da gestire. Una razionalità che colpisce anche le sue relazioni come quella con il compagno Vittorio che lascia perché “deve pensare al film”. Margherita cela dietro un’inadeguatezza e un’insicurezza come ben più si intende nel rapporto con la madre e con la figlia. Si preoccupa per loro e se ne prende cura ma non prende mai veramente in mano la situazione. Emblematica la scena in cui la dottoressa spiega ai figli di Ada la condizione della madre: mentre Giovanni annuisce puntualmente, Margherita sembra una bambina che non capisce quale sia la malattia e perché vengono prescritte così tante analisi.
Lo spettatore sa già quale direzione prenderà il film ma l’attesa della “fine” non viene vissuta con ansia o dolore perché la commozione non risiede nel fatto in sé ma nei piccoli dialoghi che appartengono alla storia di ognuno di noi. Mia madre è un film autobiografico, lo stesso Moretti ha perso la madre durante le riprese di Habemus Papam, ma è anche un film che parla di tutti. Ritroviamo nel corso del film dei momenti familiari, dei dialoghi forti che ci commuovo e preparano lo spettatore alla fine del film. Ma non è la morte che commuove e ci scompone, sono le piccole cose che avvengono in vista di questo evento come Ada che aiuta la nipote nelle versioni di latino o la disperazione di Margherita nel non trovare le bollette della madre. Mia madre ci lacera dentro perché in modo introspettivo ci mette di fronte alle nostre storie: alla solitudine che ci “accompagna” con il progredire della carriera e ai rimpianti che ci portiamo dietro. Quante volte Margherita chiede scusa alla madre? Per non parlare dell’ invidia nell’apprendere che gli ex alunni della madre hanno condiviso con Ada/insegnante molto più di quanto abbia fatto lei con la Ada/madre. É difficile accettare la morte di un caro ma forse ancora più difficile è accettare di non aver vissuto il rapporto con la madre, all’altezza dell’amore che merita. La sofferenza che proviamo durante i titoli di coda è la consapevolezza che noi come Margherita abbiamo creato dei rapporti a loro modo imperfetti.
MIA MADRE – TRAILER
Marta Leggio