La Zuppa del Demonio: la Recensione deil documentario diretto da Davide Ferrario. La pellicola, presentata alla 71. mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2014, arriverà nelle nostre sale cinematografiche l’11 settembre, con Microcinema.
LA ZUPPA DEL DEMONIO – LA TRAMA
“La zuppa del demonio” è il termine usato da Dino Buzzati nel commento a un documentario industriale del 1964, Il pianeta acciaio, per descrivere le lavorazioni nell’altoforno. Cinquant’anni dopo, quella definizione è una formidabile immagine per descrivere l’ambigua natura dell’utopia del progresso che ha accompagnato tutto il secolo scorso.
È questo il tema del nostro film: l’idea positiva che per gran parte del Novecento (almeno fino alla crisi petrolifera del 1973-74) ha accompagnato lo sviluppo industriale e tecnologico. Perché è facile oggi inorridire davanti alle immagini (proprio de Il pianeta acciaio) che mostrano le ruspe fare piazza pulita degli olivi centenari per costruire il tubificio di Taranto che oggi porta il brand dell’ILVA: eppure per lungo tempo l’idea che la tecnica, il progresso, l’industrializzazione avrebbero reso il mondo migliore ha accompagnato soprattutto la mia generazione, quella nata durante il miracolo economico italiano.
Per raccontare questa eccentrica epopea abbiamo deciso di evitare commenti di storici, interviste ad esperti e didatticismi vari. Abbiamo preferito andare alla sorgente, usando i bellissimi materiali dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, dove sono raccolti cento anni di documentari industriali di tutte le più importanti aziende italiane. Abbiamo fatto parlare il film con le loro voci e le loro immagini, riservando al montaggio il compito di esprimere il nostro punto di vista di narratori. Quello che più ci interessava, non era svolgere un discorso storico, politico o sociologico: ma provare a restituire il senso di energia, talvolta irresponsabile ma meravigliosamente spencolata verso il futuro, che è proprio ciò di cui sentiamo la mancanza oggi. Non per macerarsi in una mal riposta nostalgia: ma per capire come siamo arrivati dove stiamo ora.
Guardare La Zuppa del Demonio, da un certo punto di vista, è come guardare dentro il frigorifero di uno sconosciuto quando, scorrendo lo sguardo dall’alto verso il basso, ci troviamo di fronte ai vari packging. Forse alcuni di quei prodotti non li abbiamo mai comprati ma, osservandoli nel complesso, possiamo farci un’idea del proprietario, delle sue scelte e, forse, anche dei suoi problemi. Tutto questo per deduzione e solo grazie alla nostra capacità di osservazione. Quest’ultima, oltre a essere il punto di forza è anche il limite di questo film: dover stare sempre attenti alle immagini, concentrarsi per notare i dettagli dello speakeraggio e ascoltare come, dal punto di visto linguistico.
Un esempio? Le centinaia di ulivi secolari che si trovavano nel golfo di Taranto e che ci vengono descritti come statici, immobili nel tempo in contrapposizione con la costruzione dell’Ilva che è, invece, moderna e foriera di innovazione e posti di lavoro. Un excursus nella storia dell’industrializzazione italiana tramite spezzoni di filmati, immagini documentali e la filosofia dietro alla pubblicità che ha convito gli italiani e gettarsi a capofitto verso il consumo del territorio abbandonando le campagne alla stregua di un boom economico che, visto con gli occhi di oggi, è stato più speculazione che investimento, più sfruttamento che partecipazione.
Con la lodevole eccezione della Olivetti, che ha approcciato il sistema capitalista in modo veramente innovativo; per i dettagli del suo fallimento vi consiglio di fare una ricerca personale che vi aiuti a capire la differenza tra i due sistemi, molto marcata nella realtà, ma poco evidente nel film.
La Zuppa del Demonio, in sintesi è un film che ha bisogno di un forte background culturale per essere compreso appieno e, benché trovi giusta la scelta di Davide Ferrario di lasciare allo spettatore il compito di riunire le fila del discorso per non essere “di parte”, questa scelta porta con sè una conseguenza ovvia e discutibile: la mancanza di un messaggio chiaro. Pro e contro che, in un paese che cerca sempre nuovi modi per lamentarsi e che ha fatto del “ben’altrismo” il proprio carattere dominante, forse è stata la scelta più giusta. Impegnativo e affascinante per alcuni versi, spiace che si fermi al momento della crisi energetica degli anni ’70 che viene appena accennata.
Personalmente, spero in un sequel.
LA ZUPPA DEL DEMONIO – IL TRAILER
Edoardo Montanari