La recensione de La buona uscita, esordio alla regia diEnrico Iannacconecon Marco Cavalli e Gea Martire, nelle sale dal 5 maggio grazie a Microcinema Distribuzione.

Vernice, vongole, ceramica bianca, mare, cravatte di marca, e poi il clima. Procede inizialmente cosìLa buona uscita, primo lungometraggio di Enrico Iannaccone che va a intarsiare la storia di unJep Gambardellaancora più napoletano. Il pensiero a quell’uomo di grande bellezza e a quel manierismo amalgamato daSorrentinoin modo visivamente accogliente e malinconico, sembra lontanamente evocato nel film di Iannaccone. Il regista a una ripresa molto raffinata propone però uncinismoe ungrottesco non empatico, una scelta voluta ma non proprio vincente.

Marco è unborgheseche pensa ad arricchirsi e a farla franca a discapito degli operai, che pagano al suo posto “proprio perché abituati ad avere problemi“. Un personaggio che viene detestato a tal punto da smuovere dalla poltrona lo spettatore. La vita di questo egocentrico e spiazzanteone man show, si alterna a quella di unaninfomanein piena crisi d’età, che colma le debolezze con unmatrimonioper nulla soddisfacente. Lo sfondo è unaNapolipiena di cibo dove la criminalità è accettata e ha un altro nome, una Napoli priva di sparatorie e piena di yacht.

La buona uscitaè una prova di stile, dove la sceneggiatura sbalza da alcuni dialoghi spiazzanti e coraggiosi, a lunghissime scene in cui si parla dellecondizioni climatichee di quanto sia importante la salute. Questa prima debolezza, si va a intaccare in questoperfezionismo stilisticoche invece di arricchire il film, ne dipana ancora più le debolezze. Quanto vale un dialogo edificante e rivelatore, rispetto a un gesto effimero e pieno disimbolismo?

LA BUONA USCITA – TRAILER

Marta Leggio