Holy Motors: la recensione del film del 2012 diretto e sceneggiato da Leos Carax e interpretato da Denis Lavant, Édith Scob, Eva Mendes e Kylie Minogue.
E’ un riflesso quel pubblico che vediamo avvolto nel buio dello schermo? Stiamo specchiandoci e non riusciamo ad accorgercene. Holy Motors di Leos Carax inizia così, con un suono di sirena di un battello, mentre vediamo riflessi noi stessi, spettatori. “No! No! No!” si sente urlare: è forse un uomo che si sta risvegliando da un brutto sogno?
I primi due minuti del film basterebbero per fare abbastanza elucubrazioni da scriverci una relazione di 50.000 battute. Siamo in pieno meta-cinema e il dormiente che si sta svegliando potrebbe essere colui che si è preso il compito di scuotere quel pubblico che sta guardando lo schermo passivamente. L’uomo ha un paio di occhiali scuri addosso, cerca quei suoni di gabbiani, di onde e di navi e finisce per attraversare una parete della stanza in cui si trova e che riesce ad aprire con il suo dito-chiave. L’intenzione del regista è così dichiarata: l’allegoria allude infatti alla creatività di un autore che viene risvegliata da input esterni, i rumori del mondo, con i quali tenta di entrare in contatto. E La mano, con il suo gesto di apertura, fa da ponte tra la creatività interiore dell’autore e il suo pubblico.
Dopo questa overture, il film si divide in micro appuntamenti, un po’ come se stessimo spiando l’agenda di una giornata lavorativa di un uomo d’affari. Soltanto che Monsieur Oscar (un magistrale Denis Lavant), pur condividendo probabilmente la limousine e un autista privato, non svolge un lavoro d’affari fatto di incontri e di conti da fare. Oscar deve interpretare ad ogni appuntamento un personaggio diverso e la sua limousine è più un camerino di prova in movimento che uno sfarzoso mezzo con cui spostarsi. Ecco che allora la metafora del cinema prende sempre più forma e la limousine diventa il dietro le quinte di un teatro/cinema, mentre Parigi diventa l’intera scenografia che accoglie i vari travestimenti del protagonista. Come Cosmopolis di Croneneberg, uscito per altro lo stesso anno, così Holy Motors si dimostra essere un road movie che si insinua ripetutamente nel profondo inconscio del cinema.
Ogni personaggio interpretato da Oscar non è altro che la variante di un genere cinematografico con i suoi codici, i suoi cliché e i suoi stilemi. A questi generi Carax non manca di fare anche una certa critica, come quando Oscar diventa un performer di realtà virtuali, mettendo in luce la volgare ostinazione di certo cinema contemporaneo di creare elaborati effetti speciali. Non che il regista non accetti il nuovo o la tecnologia, è che non ne vede il risultato finale. A Carax interessa il fare dell’attore e non solo ciò che lo spettatore può vedere sullo schermo. Non vuole dimenticare le moltissime potenzialità che un attore può riservare, perciò il regista francese non nasconderebbe mai il suo corpo e la sua prossemica.
Con una drammatica fotografia chiaroscurata che ricorda la luce dei quadri di Caravaggio, il film del regista francese ci conquista e ci abbandona ad ogni cambio di scena, ad ogni cambio di personaggio. Mr Merde, il banchiere, il padre di famiglia, l’assassino o l’assassinato ci commuovono in pochi istanti, anche dopo che abbiamo capito lo schema narrativo, perché tutti quei personaggi in fondo li abbiamo già conosciuti in precedenza, nei moltissimi film che abbiamo già visto. Alcuni li abbiamo amati, altri li abbiamo compatiti, altri forse non ci hanno mai conquistato, ma tutti i personaggi ci portano a interessarci di loro, della vita che fanno, di quello che stanno per far accadere. Anche se non sapremo mai fino in fondo chi è Monsieur Oscar (anche il nome non è casuale), ne veniamo attratti con la stessa intensità ad ogni travestimento.
Ogni scena del film è talmente densa di significato che nemmeno verso il finale si può allentare la concentrazione. Quando infatti la giornata lavorativa di Cèline, l’autista della limousine, è giunta al termine, scopriamo che anche le automobili hanno una coscienza. Le sentiamo nelle loro lamentele per la faticosa giornata lavorativa mentre la donna passa all’anonimato indossando una maschera priva d’espressione.
Si è nuovamente capovolta la situazione: per recitare non si ha più bisogno della maschera, mentre per vivere la realtà sì. Allora si vive la finzione e si finge la vita. La scelta sta all’attore (sociale).
HOLY MOTORS – TRAILER ITALIANO
Anna Pennella