American Sniper: la recensione della pellicola in arrivo il 1 gennaio 2015 nei nostri cinema.
Il film diretto da Clint Eastwood vede nel cast Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes, Navid Negahban e Keir O’Donnell.
C’è chi nasce con un talento e Chris Kyle è nato con quello di uccidere: “vado meglio se respira”; e questa frase, detta al suo istruttore dei Navy Seal, apre un’infinità di stili registici e messaggi possibili.
American Sniper avrebbe potuto essere un film trionfalistico: uno di quei film dove il protagonista si prefigge un obiettivo ostico e lo persegue con tutto se stesso, in nome del proprio paese, fino alle estreme conseguenze; uno di quei film che possono essere riassunti con lo slogan: “tutto questo per un’America sempre più libera”. Ma sarebbe stato troppo simile a Gunny (Heartbreak Ridge, 1986), e Clint Eastwood, nel frattempo è cresciuto artisticamente.
Oppure, American Sniper avrebbe potuto essere un film pacifista di quelli dove il protagonista scopre l’orrore della guerra e, una volta tornato a casa, lotta per il ritorno a casa delle truppe combattenti con manifestazioni alla Nato il 4 luglio.
Ma non sarebbe stato un film di Clint Eastwood.
Crudo, oggettivo e realista, American Sniper è un film che trascina a poco a poco dentro l’eterno conflitto tra dovere ed etica, tra sanità e follia, tra bene e male. Eastwood, però, da regista e autore non le enfatizza né le edulcora, ma le descrive con immagini che vogliono stimolare il senso critico dello spettatore e mostrano la morte, la guerra, la paura, la follia che colpisce anche l’uomo più motivato al mondo a combattere.
Chris Kyle – il cecchino più letale degli Stati Uniti, interpretato magistralmente da Bradley Cooper – viene educato dal padre a essere un cane pastore che protegge il gregge dai lupi, ma al di là della vena poetica di questa frase c’è da ricordare che anche i cani pastore sbranano, uccidono, e sono costretti a lasciar morire alcune pecore per salvarne altre e, soprattutto, sono fatti di carne e ossa che possono essere spezzate, tranciate via da una bomba, o menomate permanentemente come i reduci che Eastwood ci mostra senza vergogna e senza esibizionismo. Perché la morte è cinematografica, ma la perdita di un arto o della propria sanità mentale, è ciò che resta da vedere quando la polvere degli spari si deposita, di nuovo, a terra.
La guerra come ossessione è una delle linee portanti del film, ma anche la difesa della nazione, la sicurezza di essere dalla parte del “bene”. Un Bene che, per il protagonista, è evidente quando è costretto a uccidere la prima volta, ma che perde sempre di più la propria cristallizzazione fino a sciogliersi nel rallenty finale, lasciandoci da soli a prendere atto di quello a cui abbiamo assistito.
E con tante domande a cui rispondere.
AMERICAN SNIPER – IL TRAILER ITALIANO
Edoardo Montanari